Risultati

I risultati scientifici del progetto Etsch 2000 possono essere riassunti in 10 punti:

  1. Diversificazione notevole degli ambienti fluviali

    Prima delle grandi opere di canalizzazione del 1800, l’Adige mostrava una notevole diversità di ambienti fluviali, fra cui barre di sedimento, isole e barre con vegetazione sparsa e colonizzatrice, canali secondari, isole forestate, e una forte interazione e connettività con la piana circostante. Tale diversità di ambienti era favorita dalle maggiori dimensioni del corso d’acqua, che presentava larghezze da due a quattro volte superiori a quelle attuali. La diversità di ambienti era anche fortemente variabile lungo il corso d’acqua, dove si susseguivano tratti ad alveo intrecciato, molto più larghi, a tratti con morfologie sinuose e meandriformi dove il fiume sviluppava anse in grado anche di divagare su quasi tutta la piana del fondovalle.


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  2. L’Etsch presentava una precisa sequenza di tipologie morfologiche

    La morfologia dell’Adige prima delle grandi opere di deviazione e
    canalizzazione di metà 1800 era prevalentemente monocursale, sinuosa o meandriforme, a parte per tratti relativamente brevi con morfologia intrecciata o wandering, localizzati immediatamente a valle delle principali confluenze (con Passirio – Lana, Isarco, Noce, Avisio ). La morfologia dell’alveo si presentava pertanto come una ripetizione regolare di una sequenza morfologica che, da monte a valle, passava da alveo intrecciato, a wandering, a sinuoso e infine a meandriforme, per ripetersi dopo la confluenza successiva.
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  3. Scarsa dinamicità morfologica del fiume pre canalizzazione

    La serie storica di fonti cartografiche portata alla luce si data a partire dalla metà del ‘700 e rivela una dinamica morfologica piuttosto contenuta dell’Adige per la maggior parte del suo corso e prima delle grandi deviazioni e canalizzazioni di metà 1800. Solo nei tratti a morfologia intrecciata si riscontra una morfo-dinamica più significativa nel periodo 1771 – 1850.
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    I tratti monocursali rivelano la presenza di numerose opere di difesa delle sponde (attestate dalle fonti già ben prima della metà del ‘700) la cui localizzazione spesso coincide con le regioni dove i modelli matematici prevedono la maggior azione erosiva della corrente. Le cronache di archivio fanno capire come fino al 1700 le difese di sponda fossero lasciate alla competenza dei proprietari dei terreni adiacenti al fiume, mentre durante il 1700 si sviluppano sistemi più solidi sia strutturalmente che gestionalmente. Queste difese di sponda hanno probabilmente giocato un ruolo molto importante nel ridurre drasticamente la mobilità laterale del fiume a partire dalla prima metà del 1700, come confermato anche da simulazioni effettuate con modelli morfodinamici di evoluzione planimetrica di meandri fluviali.

  4. L’alveo era solo in apparenza naturale

    Nonnostante la visione delle carte storiche fornisca l’impressione di un corso d’acqua molto “naturale”, in contrasto con l’immagine molto artificiale dell’alveo attuale, precedentemente alle grandi opere di canalizzazione, l’Adige era già significativamente alterato da un punto di vista morfologico, a causa delle numerose e significative opere di difesa spondale che ne seguivano il tracciato soprattutto nei tratti monocursali, e non poteva certo definirsi “naturale”.

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  5. I limiti geologici della valle hanno condizionato l’evoluzione del fiume

    L’evoluzione delle anse dell’Adige all’interno della piana era caratterizzata dai classici processi di meandrizzazione degli alvei di pianura, il cui andamento rettilineo è instabile a causa della mutua interazione fra la corrente d’acqua e il sedimento che costituisce il letto e le sponde dell’alveo. Questa instabilità planimetrica determina una tendenza intrinseca a generare sequenze di curve caratterizzate da scavo presso la sponda esterna e deposito di sedimento presso la sponda interna. Le informazioni geologiche disponibili indicano come la divagazione delle anse dell’Adige nella piana fossero però molto condizionate non solo dalle pareti dei versanti rocciosi – come facilmente intuibile – ma anche dalla presenza dei numerosi conoidi associati agli affluenti laterali (ad es. Valsura, Isarco, Noce, Avisio, Fersina, per citare i principali). In corrispondenza dei conoidi è possibile infatti identificare delle “zone d’ombra” dove il fiume era di fatto sostanzialmente impossibilitato ad entrare a causa dell’effetto protettivo dei conoidi stessi. A testimonianza di ció, i sondaggi ubicati in queste aree mostrano la presenza di aree palustri fino a profonditá di almeno 10m (e quindi in cui la sedimentazione fluviale è stata inesistente o solo occasionale, e probabilmente dovuta ad alluvionamenti). Per la prima volta anche da un punto di vista scientifico – è stato mostrato come questo processo si realizzi grazie all’applicazione di modelli di evoluzione planimetrica dei meandri fluviali già utilizzati per simulare evoluzione dei corsi d’acqua e dei depositi sedimentari su scale geologiche.
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  6. Creazione di un database digitale (digital archive) di cartografia storica e fotogrammetria storica di eccezionale valore patrimoniale e documentale

    Durante il progetto sono state acquisite in formato digitale (a mezzo fotoriproduzione) presso diversi archivi a livello nazionale e internazionale centinaia di unità cartografiche e fotografiche storiche, e documenti letterari correlati (compresi tra il XV secolo e il secondo Dopoguerra), ed è stato possibile implementare un database digitale (digital archive) di cartografia storica e fotogrammetria storica di eccezionale valore patrimoniale e documentale, unico nel suo genere. Le operazioni di fotoriproduzione in zenitale e ad alta risoluzione sono state possibili grazie alla stipula di una convenzione fra il Laboratorio Bagolini-sezione di Geografia storica del Dipartimento di Lettere e Filosofia dell’Università di Trento e la Soprintendenza ai Beni culturali del Trentino. Ogni carta e fotografia è stata sottoposta a “schedatura” che rende possibile interrogazioni multilivello sui metadati quali-quantitativi contenuti nella carta/foto (dai toponimi agli elementi semiologici alla scala, ecc….). Una parte della cartografia (quella di impianto geodetico) è stata oggetto di analisi cartometrica finalizzata alla stima dell’accuratezza geometrica della carta stessa, operazione imprescindibile in quanto propedeutica alla successiva georeferenziazione consentendone una serie di elaborazioni quantitative, e comparative, per gli obiettivi del progetto.


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  7. L’ETSCH è stato canalizzato con una larghezza che non poteva consentire la formazione di barre fluviali

    I grandi lavori di rettifica e canalizzazione avviati a metà 1800 hanno determinato la quasi completa scomparsa delle barre fluviali, fenomeno tuttavia non sempre riscontrato in altri grandi corsi d’acqua alpini soggetti ad analoghi, massicci interventi di regolazione del proprio tracciato nello stesso periodo. Esempi sono il Reno Alpino, al confine fra Austria, Svizzera e Liechtenstein, nei 40km a monte del Lago di Costanza e l’Isère in Savoia, per gli 80 km compresi fra Albertville e Grenoble. L’applicazione delle teorie di dinamica morfologica alle informazioni estratte dalle carte storiche e dalle foto aeree recenti rivela che l’Adige è stato ristretto in modo molto più accentuato di altri grandi corsi d’acqua alpini come l’Isère e il Reno, nonostante condizioni di portate di piena, dimensione dei sedimenti e pendenza della valle molto simili. Le barre fluviali, soprattutto nei tratti canalizzati e rettificati, sono il risultato di un fenomeno di instabilità “libera” dell’interazione fisica fra corrente d’acqua e letto del fiume, che si manifesta tuttavia solo se il canale è più largo di una soglia che dipende dalle condizioni specifiche del fiume. Nel caso dell’Adige, in particolare a valle della confluenza con l’Isarco, è stato possibile stabilire come questa soglia sia rappresentata da una ipotetica larghezza di circa 90m, maggiore dei circa 60 – 70 reali. Le barre avrebbero quindi probabilmente occupato l’alveo dell’Adige a valle di Bolzano se gli argini fossero stati realizzati a una distanza di circa 20m superiore alla effettiva larghezza di progetto, determinando un paesaggio fluviale completamente diverso e anche comportando necessità gestionali del tutto differenti rispetto a quanto accaduto negli ultimi 150 anni.

    Un esempio vicino è dato dal tratto terminale del fiume Noce, la cui evoluzione è stata anch’essa ricostruita quantitativamente durante il progetto. La canalizzazione del Noce ha infatti comportato lo sviluppo di una sistematica serie di barre fluviali, del tutto analoga a quella del Reno Alpino. Negli anni ’20 del XX secolo in questo tratto si verificò una rotta arginale proprio in corrispondenza di una regione di scavo permanentemente indotta dalla presenza di una barra. Il tracciato seguito dal fiume a seguito di quella rotta è attualmente occupato dal biotopo della “Rupe”.

  8. L’alveo presenta oggi un fondo canale fortemente corazzato

    Il corazzamento è un fenomeno fisico tipico degli alvei in ghiaia, che seleziona nello strato superficiale dell’alveo di un corso d’acqua sedimenti di dimensione maggiore rispetto ai sedimenti presenti negli strati sottostanti. Benchè sia un fenomeno naturale nei corsi d’acqua in ghiaia, esso può essere molto accentuato dalla regolazione antropica dei regimi delle portate liquide e solide. I rilievi granulometrici effettuati in cinque tratti diversi del segmento analizzato mostrano che la differenza tra la granulometria dello strato superficiale e la granuometria del subalveo è molto più marcata di quella tipica di alvei naturali, evidenziando una forte accentuazione del fenomeno nel fiume Adige. Questo potrebbe spiegare il limitato trasporto solido osservato anche a seguito di importanti piene nelle attuali condizioni idromorfologiche del corso d’acqua.

  9. L’evoluzione e le dinamiche del sistema fluviale (sia Adige che tributari) hanno condizionato le aree di occupazione antropica

    L’evoluzione e le dinamiche del sistema fluviale (sia Adige che tributari) hanno condizionato le aree di occupazione antropica che ha privilegiato aree rilevate rispetto alla piana alluvionale (conoidi e terrazzi); le condizioni ambientali del fondovalle atesino dedotte dal record archeologico riflettono nel.corso del tempo l’alternanza climatico-ambientale osservata a scala più ampia (europea): i momenti stabili, caratterizzati da uno.sfruttamento antropico della piana.alluvionale, si alternano a momenti instabili, caratterizzati da interventi di bonifica e arginatura di entità variabile

  10. L’analisi dei paleoalvi mostra un alveo più mrfodinamicamente attivo rispetto a quanto osservato dal confronto delle carte stroiche del XVIII e XIX secolo

    L’interpretazione geomorfologica delle isoipse e del Lidar, ha permesso di mappare ed in alcuni casi, grazie alle fonti storiche ed al confronto comparato di carte e quadri, di datare un elevato numeri di paleoalvei. Questi mostrano una presenza maggiore di meandri in passato rispetto alla situazione mostrata agli inizi del 1800. Questi meandri era presenti maggiormente nei tratti a minore pendenza della valle ed in corrispondenza delle morfologie sinuose o talora multicanale.